L’ 11 novembre è la Festa di San Martino, vescovo di Tours nel IV secolo, uno dei santi più celebri fin dal Medioevo perché a lui sono connessi tanti detti, proverbi, riti, usanze e tradizioni gastronomiche in molti luoghi dell’Europa.
In Italia è il Patrono di Belluno, ed è venerato in molte città, specialmente in quelle dove visse: a Pavia da bambino, perché suo padre militare e vi era stato trasferito; poi, ormai monaco, in un eremo alle porte di Milano; e infine sull’isola Gallinaria, in Liguria, prima di trasferirsi definitivamente nelle Gallie dove morì ottantenne l’8 novembre dell’anno 397; ma lo si festeggia l’11, giorno dei suoi funerali a Tours.
Chi era San Martino?
Era nato nell’anno 316 nell’antica Pannonia – fra l’Ungheria e l’Austria – con il destino già segnato: fare il soldato come suo padre che lo chiamò Martino in onore del dio della guerra Marte. Molto presto, infatti, fu avviato alla carriera militare, durante la quale si verificò uno degli episodi più noti della vita del Santo raffigurato in moltissimi dipinti e sculture. Si racconta che in una notte d’inverno, mentre era di ronda, incontrò un povero viandante che soffriva il freddo, e non avendo denaro da dargli, tagliò a metà il proprio mantello affinché il mendicante avesse qualcosa con cui coprirsi. Perciò san Martino, oltre a essere il protettore dei militari, lo è anche dei pellegrini. Il futuro vescovo passò quasi venti anni nell’esercito e, dopo aver ricevuto il battesimo decise di congedarsi per divenire monaco. Fu poi ordinato diacono e infine prete. Viaggiò a lungo predicando il cristianesimo, convertì i pagani errando per terre lontane finché un giorno si fermò in Francia, nei pressi di Poitiers, dove fondò un monastero. La sua popolarità crebbe di giorno in giorno sicché, per volontà popolare e perché potesse continuare con maggiore efficacia la propria opera di evangelizzazione, Martino venne ordinato vescovo di Tours. Dopo anni di frenetica e febbrile attività il Santo si spense a Candes, una località francese nella confluenza tra la Vienne e la Loira: lungo questo fiume fu portato il suo corpo fino al cimitero di Tours, dove l’11 novembre ebbe sepoltura in un’umile tomba. Presto divenne meta di incessanti pellegrinaggi, come fosse San Pietro a Roma o Santiago di Compostella in Spagna, e al suo monastero giungevano in massa i fedeli per chiedere la guarigione di ogni tipo di malattia.
La festa di San Martino
San Martino divenne ancora più popolare per la collocazione della sua festa nel calendario che coincideva con la fine delle celebrazioni del Capodanno dei Celti , il “Samuin”, che cadevano proprio nei primi dieci giorni di novembre. Quella festa pagana era ancora viva nell’VIII secolo e siccome Martino fu fin dal primo medioevo il santo più popolare d’Occidente, la Chiesa pensò bene di cristianizzare i festeggiamenti celtici trasferendo molte delle sue usanze nella festività del celebre vescovo di Tours.
Perciò la festa di San Martino divenne in gran parte dell’Europa una sorta di capodanno: in Italia, fino al secolo scorso, l’11 novembre cominciavano le attività dei tribunali, delle scuole e dei parlamenti; si tenevano elezioni e in alcune zone scadevano i contratti agricoli e di affitto. Tuttora in molti luoghi si dice “far San Martino” all’atto di traslocare o sgomberare, perché era proprio in questo periodo che si cambiava tradizionalmente casa: praticamente tutti i cambiamenti si facevano per San Martino.
Anche per i bambini era festa grande perché il santo, come la Befana oggi, portava loro regalini scendendo dalla cappa del camino e , se avevano fatto capricci depositava una frusta ammonitrice, detta in Francia “Martin baton” o “martinet”, usanza tipica dei periodi di capodanno o di rinnovamento temporale. Inoltre, così come i Celti festeggiavano il “Samuin” banchettando, il giorno di San Martino trascorreva anche nell’ingorda letizia delle tavole colme di ogni ben di Dio. Perciò, tuttora, la figura del Santo è sinonimo di abbondanza.
Il giorno di San Martino era accompagnato anche dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorre finire per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata. Ma in questi giorni scorre a fiumi anche il vino novello: è risaputo infatti che “Per San Martino ogni mosto è vino”. Con il vino gli abitanti delle terre che una volta era la “Gallia Cisalpina” e che oggi alcuni chiamano Padania, consigliano di mangiare le castagne e l’oca: “Per San Martino castagne, oca e vino!”. Un’usanza, quella di mangiare l’oca, da rispettare per avere fortuna, come ci ricordano i Veneti: “Chi no magna l’oca a San Martin nol fa el beco de un quatrin!”.
Ma perché si mangia l’oca in questo giorno di festa?
La tradizione si ispirerebbe a una leggenda medievale sulla vita del santo. Era l’anno 371 quando san Martino venne eletto per acclamazione vescovo di Tours in Francia, lui però si nascose in campagna perché preferiva continuare a vivere come semplice monaco. Ma le strida di un storno di oche rivelò agli inseguitori il nascondiglio del santo, che dovette accettare e diventare il grande vescovo che è stato.
La scelta del volatile come cibo tipico della festa di San Martino non è casuale perché dietro la popolare usanza gastronomica si celano vestigia di antiche credenze religiose che deriverebbero dalle celebrazioni del “Samuin” Celtico.
Infinite poi sono le favole europee ispirate all’oca: “Vecchia delle oche” di Grimm, ai “Racconti di mia madre l’oca” attribuiti a Perrault, oppure al mito della fata Melusina che curiosamente aveva i piedi a forma di zampa d’oca che nessun mortale poteva vedere.
La ricetta della pianura padana più diffusa per San Martino, simile nella preparazione alla “casoeuola” a base di maiale della Lombardia, è il “bottaggio”: nell’oca così cucinata la freschezza e la fragranza della verza attenua l’intensità del suo sapore un po’ dolciastro.
La fiera di San Martino
Per la festa di San Martino si svolgeva la fiera più importante di animali con le corna, mucche, buoi, tori, capre, montoni. Perciò la fantasia popolare ha assurdamente promosso san Martino a ironico patrono dei mariti traditi, come ricordano alcuni proverbi: “Per San Marten volta e zira, tot i bech i va a la fira”, ossia, “per san Martino volta e gira, tutti i becchi vanno alla fiera”, sostengono i romagnoli.
La “caccia al becco”, come spiega Alfredo Cattabiani in “Lunario” (Mondadori), era un’usanza simile a quella del capro espiatorio. Secondo la mentalità dell’epoca il marito tradito si era macchiato di una colpa grave poiché l’adulterio della moglie era considerato un segno di debolezza dell’uomo, di incapacità a controllare la consorte; e perciò il “becco” doveva subire una scherzosa persecuzione rituale.
I proverbi
Oltre alle molte usanze legate alla festività di San Martino, non occorre dimenticare i proverbi connessi anche ai lavori in campagna: “Se il dì di San Martino il sole va in bisacca, vendi il pane e tienti la vacca; se il sole va invece giù sereno, vendi la vacca perché è poco il fieno”. Ossia: se all’ora del tramonto dell’11 novembre ci sono delle nuvole che coprono il sole, si può sperare in un buon raccolto di fieno e di grano e ci sarà pane da vendere e una vacca grassa; ma se tramonta in un bel cielo sereno non ci sarà fieno abbastanza per gli animali e sarebbe meglio venderli.
Perciò san Martino è stato raffigurato da tanti artisti per rappresentare i lavori in campagna del mese di novembre. Per la sua festività, d’altronde, ci si augurava che la semina del grano fosse già finita per far sì che all’arrivo del freddo il seme già fosse sotto terra: “A San Martino sta meglio il grano al campo che al mulino”. Chi semina dopo questa data avrà un raccolto misero: “Per San Martino, la sementa del poverino!”, si dice. E chi vorrà avere una vendemmia fruttuosa si sbrighi anche a potare e a preparare il terreno attorno alla vite: “Chi vuol far buon vino, zappi e poti nei giorni di San Martino”. Perciò in Istria il santo viene chiamato “San Martìn dei zapadori”. Ma, a parte la vite e il grano, questo è il momento ideale anche per altre coltivazioni, ad esempio per le fave e per il lino, almeno nelle zone più calde, come la Sicilia, dove si dice infatti che: “A San Martinu, favi e linu”. In ogni modo, il proverbio più celebre che si ripete ancora oggi rammenta che “L’estate di San Martino dura tre giorni e un pochinino”. Spesso infatti intorno all’11 novembre torna per qualche giorno il bel tempo insieme con un po’ di tepore.
San Martino nell’area Lodigiana
Nella zona Lodigiana “fa San Martin” significa traslocare, i contadini passavano da una cascina all’altra con i carri pieni di masserizie.